Il sito Apple.com, commemora oggi la morte di Muhammad Ali, grandissimo pugile statunitense, che ha gettato le basi contro il razzismo.
Muhammad Ali, nato Cassius Marcellus Clay Jr. (Louisville, 17 gennaio 1942 – Scottsdale, 3 giugno 2016), è stato un pugile statunitense, tra i maggiori e più apprezzati sportivi della storia.
Sin dagli inizi di carriera, Ali si contraddistinse come una figura carismatica, controversa e polarizzante sia dentro che fuori dal ring di pugilato. È tra gli sportivi più conosciuti di tutti i tempi, essendo stato nominato “sportivo del secolo” da Sports Illustrated e “personalità sportiva del secolo” dalla BBC. Fu inoltre autore di diversi best seller come The Greatest: My Own Story e The Soul of a Butterfly.
Alì, inizialmente conosciuto con il nome di Cassius Clay, iniziò ad allenarsi all’età di 12 anni. Vinse l’oro Olimpico ai Giochi di Roma nel 1960 e nel 1964, all’età di 22 anni, conquistò il titolo mondiale dei pesi massimi sconfiggendo a sorpresa il temuto e potente campione in carica Sonny Liston. Successivamente si unì al movimento afroamericano Nation of Islam e cambiò legalmente il suo nome. Si convertì quindi al sunnismo nel 1975 ed infine al sufismo nel 2005.
Nel 1967, tre anni dopo la conquista del campionato mondiale, Alì si rifiutò di combattere nella Guerra del Vietnam per via della sua religione e della sua opposizione al conflitto. Per questo, fu arrestato e accusato di renitenza alla leva, oltre ad essere privato del titolo iridato. Non combattè per i successivi quattro anni. L’appello di Alì fece strada sino alla Corte suprema degli Stati Uniti d’America, che annullò la sua condanna nel 1971. La sua battaglia come obiettore di coscienza lo rese un’icona nella controcultura degli anni sessanta.
È l’unico peso massimo ad essere stato campione lineare per tre occasioni, nel 1964, 1974 ed infine nel 1978. Tra il 25 febbraio ed il 19 settembre 1964 fu inoltre campione indiscusso della divisione. Detiene il maggior numero di premi “pugile dell’anno”, assegnato da The Ring, avendo vinto tale riconoscimento nel 1963, 1972, 1974, 1975 e 1978.
Soprannominato “The Greatest” (Il Migliore), Ali è stato protagonista di alcuni dei più importanti e famosi eventi del mondo pugilistico. Tra questi vi furono la prima controversa sfida contro Sonny Liston, i tre aspramente combattuti match con l’irriducibile rivale Joe Frazier, ed il cosiddetto “Rumble in the Jungle”, il drammatico incontro nel 1974 in Zaire contro il campione in carica George Foreman, dove riconquistò i titoli persi sette anni prima.
In un’era dove molti pugili lasciavano parlare i propri manager, Alì, ispirato dal wrestler Gorgeous George, si ritagliò il proprio spazio divenendo famoso come personaggio provocatorio e stravagante. Prese infatti il controllo di numerose conferenze stampa ed interviste, parlando liberamente anche di problemi non legati al pugilato. Figura carismatica, si contraddistinse inoltre come uno dei principali innovatori della pratica del trash-talking nel mondo sportivo. Trasformò profondamente il ruolo e l’immagine dell’atleta afroamericano negli Stati Uniti, diventando punto di riferimento del Potere Nero. Secondo la scrittrice Joyce Carol Oates, fu uno dei pochi atleti a “definire con i suoi termini la propria reputazione pubblica”.
Nel 1984 gli fu diagnosticata la sindrome di Parkinson, che lo portò ad un graduale declino fisico nel corso dei decenni successivi. Malgrado tali disagi, anche dopo il suo ritiro dal mondo sportivo Alì rimase impegnato in numerose azioni umanitarie, sino alla morte avvenuta nel 2016.
Muhammad Ali, ti ricorderemo per sempre…